Mondo

L’india in guerra a causa di uno sciroppo

Il giallo della vitamina A. Doveva salvare molte vite la distribuzione, a cura di Unicef, di dosi di vitamina A ai bambini indiani. Invece si è trasformata in un dramma

di Gabriella Meroni

Come saranno ricordati i fratellini Duler e Bali Hasda, cinque e tre anni, morti il 16 novembre per una dose sbagliata di vitamina salvavita? E Vijay Topo, tre anni, e la piccola Asha Bagdti, spirata a soli due anni? Quasi sicuramente come un incidente di percorso, un inevitabile tributo alla statistica nell?ambito di un programma sanitario perfettamente riuscito. Del dramma dei 20 bambini morti in India, e dei 15mila intossicati in seguito alla somministrazione di uno sciroppo a base di vitamina A da parte dell?Unicef, i giornali italiani non hanno parlato. In Occidente ne ha fatto cenno la Bbc, ma soltanto per affermare che secondo la versione ufficiale (dell?Unicef) i morti non sarebbero 20 ma soltanto uno. E la smentita dell?agenzia internazionale non è che uno dei misteri che avvolgono questa strana e dolorosa vicenda, che ha occupato per giorni le prime pagine dei giornali nazionali, causato disordini di piazza e fatto perfino sfiorare una crisi politica nello stato indiano in cui si è verificata, l?Assam, 25 milioni di abitanti ai confini con il Bangladesh. La rivolta dei genitori Tutto comincia l?11 novembre. All?ospedale della città di Guwahati è in corso la seconda fase annuale della campagna Vitamin A global initiative contro la malnutrizione, promossa da Unicef e Organizzazione mondiale della sanità e finanziata da un cartello di aziende statunitensi tra cui figurano le maggiori produttrici di vitamine del mondo. Qualche ora dopo la somministrazione dello sciroppo ai piccoli pazienti (tutti sotto i cinque anni), cominciano i casi di malessere: vomito, febbre, dissenteria. L?ospedale ricovera i bambini, ma per qualcuno è troppo tardi: i primi a morire sono i due fratellini Duler e Bali, poi altri tre piccolissimi. In breve il numero dei morti sale a 16, ed è il panico. Davanti ai genitori che prendono a sassate gli ambulatori e perfino le case private dei medici, le autorità, che sostengono il programma, tentano una disperata difesa: prima accusano il governo di Nuova Dehli di averle ?costrette? a varare la campagna, poi sospendono dal servizio sei tra medici e infermieri. Ma la folla è inferocita, anche perché muoiono altri bambini, e le intossicazioni si contano a migliaia. Il caso ha ripercussioni politiche. I vertici del partito Bharatiya (quello del premier indiano Atal Bihari, che in Assam è all?opposizione) chiedono le dimissioni del governo locale, pretendono la nomina di una commissione di inchiesta e convocano una manifestazione per il 29 novembre. Intanto, gli investigatori sono costretti alla gimkana tra un penoso rimpallo di responsabilità. Le ipotesi avanzate per spiegare l?accaduto (un errore di conservazione delle dosi o uno scambio di misurini, tazze al posto di cucchiaini) vengono respinte da Unicef, che passa al contrattacco. «Lo sciroppo non era deteriorato», dichiara alla Bbc Sandie Blanchet dalla sede di Nuova Dehli, «ed è stato distribuito da personale qualificato secondo le procedure standard. Quanto ai decessi, ogni giorno in Assam muoiono 800 bambini». «A noi risulta un solo bambino morto dopo aver assunto la vitamina», aggiunge Donata Lodi, dell?Unicef Italia. «E 100 casi di dissenteria». Tanta enfasi nella difesa del Programma vitamina A si spiega anche analizzando i dati di un successo senza precedenti. Vero fiore all?occhiello dell?Unicef, la Vitamin A global initiative ha ottenuto risultati eccezionali: lanciata in grande stile nel dicembre 1997, ha raggiunto 350 milioni di bambini nel mondo, di cui 35 milioni in India, facendo diminuire la mortalità infantile del 25 per cento e portando con sé un bassissimo rischio di ?effetti indesiderati?, stimato tra l?1 e il 3 per cento. Almeno così recitano le statistiche, che tuttavia non terranno conto dell?ultimo ?caso India?, visto che per l?Unicef non esiste. Esistono però i 15,7 miliardi di euro investiti finora nell?iniziativa, grazie alle donazioni dei Paesi partner (Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna) e soprattutto delle maggiori aziende farmaceutiche e biotecnologiche. Sono loro a fornire le dosi di vitamina A, avendo aderito all?Alleanza globale lanciata dall?ex first lady americana Hillary Clinton. Il 16 marzo 1999, nel corso di una serata di gala a Washington, aziende come Roche, Basf, Monsanto, Kellogg?s e Procter&Gamble promisero infatti il loro appoggio finalizzato alla produzione di alimenti arricchiti di vitamina A (zucchero, grano, olio) e, ovviamente, di capsule e sciroppi per i bambini denutriti. Non si può dire di no Ma cosa è veramente successo in India? «Alcuni bambini sono deceduti dopo aver preso la vitamina. E questo è un fatto», dice il dottor Sunil Deepak, indiano, responsabile medico dei progetti in Assam della ong bolognese Aifo. «Soltanto nel nostro distretto, Karimganj, ci sono stati sette morti. E non è la prima volta che succede, a causa delle falle del sistema sanitario, oltre che della politica aggressiva dell?Unicef». Il dottor Deepak parla di pressioni esercitate dall?agenzia Onu per far circolare la vitamina A. «Gli operatori sanitari che distribuiscono le dosi di sciroppo ricevono fino a150 rupie a dose, quando lo stipendio medio di un infermiere è di mille rupie. E più bambini si raggiungono, più denaro si riceve. Così anche operatori non professionali o addirittura le levatrici si prestano, senza assicurarsi che i bambini siano idonei a ricevere lo sciroppo». La vitamina A, infatti, non può essere somministrata ai soggetti allergici, ai diabetici e a chi soffre di disturbi a intestino, fegato, pancreas e reni. L?area dell?Assam, per stessa ammissione dell?Unicef, è considerata endemica per almeno 90 diverse malattie intestinali. Eppure, continua Sunil Deepak, è quasi impossibile resistere al richiamo dell?Unicef: «Io stesso somministro lo sciroppo nel centro Aifo, ma con tutti i controlli del caso. Me lo invia l?ospedale distrettuale, e non posso dire di no. Fa parte del sistema sanitario governativo, opporsi significherebbe dire addio agli aiuti statali e inimicarsi il personale, che conta su quelle entrate extra». Ora però in India la situazione è mutata. La gente è diffidente, e non sarà facile per l?Unicef o per il governo convincere le famiglie a tornare negli ambulatori per un altro round di vitamina. «È un peccato», riflette padre George Plathottam, sacerdote salesiano di Guwahati, la città che conta il più alto numero di vittime. «Perché l?Unicef lavora nell?interesse della popolazione, e voltargli le spalle è un danno per questa gente». E non è nemmeno il primo. Botta e risposta con Antonio Onorato, presidente della ong Crocevia. La soluzione? È nell?orto Vita: Antonio Onorati, che cosa pensa dei programmi per la somministrazione di pillole e sciroppi vitaminici? Antonio Onorati: Non conosco bene il programma sponsorizzato dall?Unicef, ma in generale l?idea che intere popolazioni del pianeta soffrano di avitaminosi è un cavallo di battaglia dell?industria biotech. Secondo queste teorie è necessario non solo attivare campagne di somministrazione di vitamine su larga scala, ma anche arricchire i cibi con sostanze di cui sarebbero naturalmente privi, intervenendo sul loro dna. Un esempio è il famoso ?golden rice?, il riso d?oro arricchito proprio con vitamina A che secondo l?industria biotecnologica risolverebbe i problemi nutrizionali di nazioni intere, ovviamente procurando lauti guadagni alle aziende e ai governi stessi. Vita: Esistono secondo lei soluzioni diverse dagli ogm e dalle pasticche per le avitaminosi ? Onorati: Certo. Da tempo con Crocevia sosteniamo che l?agricoltura tradizionale potrebbe risolvere il problema. Ci sono migliaia di piante che contengono naturalmente alte dosi di vitamine, alcune addirittura sette volte in più rispetto ai preparati farmaceutici. Restando alla vitamina A, per esempio, la papaya ne è ricchissima. Vita: Perché non si incoraggiano i coltivatori? Onorati: Per molte ragioni: la privatizzazione della terra, che sottrae i piccoli appezzamenti ai contadini per venderli ai grandi gruppi agrotecnologici, la prevalenza delle coltivazioni industriali, questioni di diritti privati che impediscono in molti Paesi ai contadini di sfruttare i boschi e di accedere all?acqua. E poi, nel caso dell?India, c?è il fatto che il lavoro agricolo è disprezzato perché affidato ai fuori casta. Vita: E le agenzie internazionali da che parte stanno? Onorati: Dalla parte di chi non vuol sentire le ragioni dei poveri, purtroppo. Non ricordo prese di posizione in loro difesa, né da parte di Unicef né da parte di altri organizzazioni, che il più delle volte si limitano ad accettare il sistema vigente, che privilegia il profitto delle industrie. In pratica, per guadagnare di più si toglie la terra con i suoi ortaggi ai contadini, e gli si dà in cambio una bella pillola di vitamine. Guadagnandoci due volte: sulla terra e sulla pillola.


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